Ci ho messo un po’ a notarli, ma in effetti sono lì da un paio di anni almeno: ragazzini dai capelli lunghi ma non troppo, lisci, ciuffi colorati, vestiti in nero e fluo, converse colorate, teschietti rosa. Popolano le piazze d’Italia e d’Europa, come teschi e borchie popolano gli espositori di Accessorize e Brigitte: una curiosa vena dark-glamour, che non so se interpretare come ultima estrema commercializzazione, o benedire perchè – in fondo – sono cosine così carine
Scopro dunque che trattasi di una nuova corrente: il movimento, o moda (non entrerò qui nel merito), emo. Breve indagine fra conoscenti e blog: chi sono gli emo? una frequente allucinante risposta è “quelli che si tagliano le vene”. Risposta data, ovviamente dagli outsider, ma che gli insider conoscono bene, e adeguatamente odiano. Gli insider spiegano che emo sta per emotional: sono persone particolarmente sensibili e che non intendono soffocare la propria sensibilità, ma viverla fino in fondo, con tutta la malinconia che questo comporta soprattutto in adolescenza.
Non voglio mettermi a discutere nemmeno della questione musicale, che l’emocore nasca un paio di decenni fa e fosse ben diverso dai Tokyo Hotel come alcuni dicono può darsi ma non mi interessa: mi interessa capire chi sono questi ragazzini stilosi che vedo in piazza Maggiore.
Da un punto di vista estetico l’mmaginario emo è una versione glamour e dolce del dark-punk: teschi, borchie, si, ma brillantinati; abiti neri, si, ma con stelline; niente anfibi ma converse colorate (possibilimente di colori diversi e fluo, e i lacci colorati). Ho letto su qualche blog che secondo una insider “essere emo è un po’ come essere dark, ma molto meno vampiro e molto più Harry Potter“. Bellissima definizione, complimenti all’autrice.
Anche interiormente l’emo ha qualcosa a che vedere col dark… e qualcosa no. Ugualmente triste, ma non ugualmente incazzato. Più romantico. Meno cattivo. Come il dark la corrente accoglie persone che in adolescenza si sentono diverse, magari introverse, magari più meditabonde della media dei coetanei; è un movimento chiuso i cui membri sono ben riconoscibili: ci si può sentire facilmente a casa, si possono incontrare dei simili anche senza conoscerli di persona. Che la spinta ad abbracciare questa moda sia essenzialmente personale e interiore è dimostrato dalle molte dichiarazioni d insider che affermano che emo non si diventa, lo si è: ci si scopre emo, perchè si scopre la propria personalità e la si identifica in questo modo.
E che fine ha fatto la critica sociale, il desiderio di dare fastidio all’establishment che sempre permea le subculture giovanili? E’ una generazione di venduti, questa, che vive di gadget e intimismo, che si nutre della commercializzazione di quelle icone che hanno fatto la storia della ribellione giovanile? O forse la critica sta proprio in questo, nell’appropriarsi di ciò che è ribellione e di ciò che è mainstream, fonderli e adottarli come simbolo egualmente fastidioso per entrambe le parti.
Se il punk sconvolgeva gridando no future e il dark inquieta incorporando la morte nella propria quotidianità, l’emo destabilizza prendendo la morte e rendendola carina. Prendendo Hello Kitty e rendendola morta. Perfettamente in linea con la tendenza alla leggerezza e all’autoironia così forte negli ultimi tempi, e altrettanto in linea con l’importanza dell’apparire come segno dell’essere, del proprio unico essere, che è elemento costitutivo di tutte le subculture.
Ci rimane da vedere se questo sarà un movimento longevo o stagionale: ci saranno emo adulti come ci sono metallari adulti? la moda continuerà anche una volta trascorsa l’adolescenza di questa generazione? Rispetto ai movimenti che si sono dimostrati longevi, che per quanto ne so sono il metal, il goth e il freak, a questo manca forse una base solida in un punto qualsiasi dello spirito umano, musica o letteratura o teoria sociale, ma non è detto che il futuro non dimostri che anche la moda può essere una base sufficiente.